PIETRO NOSETTI

Lozzo 1715 o 1716 – Milano 1805 Forse molti nostri concittadini non conoscono la storia affascinante di Pietro Nosetti (Lozzo 1715 o 1716 – Milano 1805), uno dei tanti artigiani partiti dalla nostra Valveddasca e diventato una vera e propria gloria nazionale. Pietro era un capomastro, ma non uno qualunque. Volete sapere a quale opera conosciutissima nel mondo è legato il suo nome? Seguite questo affascinante racconto uscito dalle ricerche dello storico luinese Federico Crimi.

La Scala di Milano

Batte a Lozzo il cuore del tempio della lirica italiana

Pietro Nosetti è «conosciuto come uno dei maggiori appaltatori, se non il più grande, del periodo teresiano» a Milano: la sua figura, infatti, anche se finora poco nota e poco indagata, è indissolubilmente legata alla costruzione del celebre Teatro alla Scala di Milano, tra il 1776 e il 1778. La sua impresa edile, infatti, fu scelta direttamente dal vice re austriaco e dall’architetto Giuseppe Piermarini, con il quale aveva già collaborato in passato per numerosi palazzi privati a Milano (palazzo Greppi) senza neppure bandire una gara d’appalto, in modo da ottenere quei tempi celeri e quella perfezione nell’esecuzione che il progetto del nuovo teatro milanese richiedeva. Dati anagrafici. Pietro Nosetti è indicato come originario di Lozzo in tutte le fonti documentali disponibili; manca, tuttavia, l’atto di battesimo, per la perdita dei registri parrocchiali di quegli anni. La data di morte è nota per l’iscrizione all’anagrafe della città di Milano, dove Pietro era residente nella seconda metà del XVIII sec. Morì in una contrada della parrocchia di S. Maria Segreta il 19 marzo 1805, all’età di 89 anni. Sarebbe nato, pertanto, nel 1715 o nel 1716. Era figlio di Paolo e Maria Catenazzi ed ebbe almeno un fratello, Giovanni Stefano, nato a Lozzo il 26 dicembre 1728. Secondo alcune fonti, Pietro si sarebbe sposato con Rosa Franzosini, di famiglia di Intra in quegli anni trasferita a Ticinallo (comune di Porto Valtravaglia); non ebbe, tuttavia, discendenti diretti tanto da nominare il nipote Paolo (figlio del fratello) come erede universale. I Nosetti da Lozzo. L’origine da Lozzo è, in ogni caso, indiscutibile; il cognome è distintivo della località; da lì provenivano altri Nosetti in grado, soprattutto durante il XIX sec., di distinguersi nei diversi rami dell’edilizia in Canton Ticino e in Lombardia. Va citato un Melchiorre Nosetti, ad esempio, architetto di vocazione neoclassica attivo a Como, dove fu anche a capo della locale fabbrica del Duomo. Il piccolo borgo, del resto, come ricordò la prima monografia dedicata alla Valle Veddasca pubblicata nel 1925, non offriva «risorse di lavoro ed agiatezza ai poveri suoi abitanti»; da qui la necessità per gli uomini di «emigrare all’estero», mettendosi in luce, in particolare, come «geniali cultori dello stucco e del pennello». Nell’ambito del fenomeno dell’emigrazione, che plasmò per intero e per secoli la vita nei borghi dell’intera valle, sino a divenirne l’aspetto sociale prevalente e condizionante, la figura di Pietro Nosetti è, come anticipato, emblematica, per le capacità dimostrate, il ruolo acquisito e le dinamiche di pensiero che continuarono a legare saldamente l’emigrante al paese natale, verso cui non mancò di devolvere con continuità risorse e attenzioni. L’attività di Pietro Nosetti si svolse per oltre quarant’anni grazie alla costante serie di appalti ottenuti dal governo austriaco e da privati e riguardanti la costruzione e la manutenzione di ponti, canali, navigli e fiumi (a Milano e in diverse parti della Lombardia) e alla direzione dei cantieri per la costruzione di due teatri (oltre alla Scala, infatti, fu costruito anche il teatro Cannobiana, destinato a più vasto pubblico, pure progettato da Giuseppe Piermarini, ma oggi scomparso) in città. La prima mansione risale al 1752, quando partecipò ad una campagna di rilievo sul fiume Ticino come capomastro a servizio della città di Pavia. Dal 1773 iniziò l’avventura per la creazione del naviglio di Paderno, un canale che rendesse navigabile il collegamento tra il lago di Como e l’Adda agognato sin dal XVI sec. L’operazione lo vide impegnato nell’inedito ruolo di progettista, in grado di ripensare e adeguare i diversi piani che si erano succeduti nel corso dei secoli in vista di una rapida e sicura realizzazione. Il lavoro guadagnò lui l’indiscussa stima dell’arciduca Ferdinando (che presenziò all’inaugurazione del canale, nel 1777, celebrata anche col conio di una medaglia) e dell’architetto di corte Giuseppe Piermarini, al fianco del quale Nosetti ebbe l’onere di portare a compimento diversi progetti edilizi a Milano, tra cui palazzo Greppi. L’appalto per la Scala di Milano. Tale era la fiducia riposta dalle autorità pubbliche d’allora in Nosetti che, al momento di por mano al più importante cantiere di quei tempi, il teatro alla Scala di Milano, si individuò la sua impresa (che teneva da qualche tempo in società con i Fè di Lugano) come l’unica in grado di portare l’impresa a perfetto compimento e nei tempi prestabiliti. Da qui la singolare scelta di non procedere a concorso, ma di assecondare la richiesta dei «proprietari dei Palchi» di affidarsi direttamente a Nosetti per avere inaugurati, entro il carnevale del 1778, in due soli anni, sia il teatro alla Scala sia il nuovo teatro della Cannobiana. Nella supplica avanzata dai palchettisti alla corte imperiale di Vienna si riconosceva a Pietro Nosetti «una lunghissima pratica nell’arte di costruire, e riparare sull’acque» e al suo consorzio con i Fè la possibilità di affidarsi ad un «numero di lavoratori e soprastanti di abilità, tutto l’anno al loro servigio». In tal modo, Nosetti fu incaricato dall’intero, complesso cantiere di uno dei palcoscenici più importanti del mondo, opera che, secondo le aspettative, completò nei tempi e con successo. La tenuta di Ticinallo (Porto Valtravaglia). Le immense disponibilità economiche e i legami famigliari consentirono a Pietro Nosetti di acquistare la vasta tenuta di Ticinallo, una delle più estese della sponda del lago Maggiore, sopra l’abitato di Porto Valtravaglia. La tenuta era di antichissima origine, perché impiantata dalla famiglia Sessa, castellani della rocca di Valtavaglia (Caldé). Pietro l’acquisì dalla famiglia Clerici e la tenne per qualche decennio, sino alla morte. Lì, nel 1797, costruì una chiesa privata che ancora resiste, in stile neoclassico. La tenuta, in seguito, passò a varie famiglie e dal 1919 è proprietà della famiglia Petrolo.
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Si ringrazia Fabio Passera, sindaco del comune di Maccagno con Pino e Veddasca, che ha rilanciato e voluto farci condividere questo interessante documento storico di Federico Crimi pubblicato sul Notiziario “Insieme”, il mensile dell’Associazione di Volontariato “Solidarietà” di Maccagno "nn. 299 e 300 scaricabili dal link https://www.solidarietamaccagno.it/notiziario-insieme. Lozzo, marzo 2020 FEDERICO CRIMI appassionato cultore della storia luinese, tra i suoi lavori annovera - come catalogatore ufficiale CEI - il censimento dei beni di valore storico e culturale presenti nelle Chiese della Parrocchia di S. Carlo in Veddasca nell’ambito di un progetto inserito nel piano nazionale di censimento dei beni ecclesiastici promosso dalla Conferenza Episcopale Italiana (CEI) attraverso un piano di catalogazione delle opere d’arte nelle chiese dell’alto Lago Maggiore avviato nel 2012.