AMBROGIO CATENAZZI

Lozzo 27/11/1931 – 6/12/2016 Una vita, qualunque vita, non si può riassumere in poche aride righe. Se di un personaggio noto e famoso, la cui fama ha travalicato i confini del suo borgo natìo, non mancano storie, aneddoti, documenti, citazioni, articoli, su cui tessere un pur breve racconto che interessi i lettori, più ardua è quest’opera se si tratta di figura nota solo tra una ristretta cerchia di persone e per umanissime quanto «ordinarie» ragioni. Tuttavia alcuni personaggi, ed Ambrogio era uno di questi, appartengono alla categoria dei servitori silenziosi, a quelli che si possono iscrivere nella ideale fattispecie rubricata da Saint Exupèry che alla volpe fa dire: «È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi. » . Le buone fondamenta di una casa non si vedono, anzi la loro esistenza viene ignorata da chi vi abita, ma guai se non ci fossero. In un’arco di esistenza che per un’evo storico è paragonabile al minuto di recupero di una partita, e per un’era geologica ad un battito di ciglia, Ambrogio è sempre stato un punto di riferimento utile e attivo per la sua comunità. Quella che segue è l’orazione funebre che il 9 dicembre del 2016 gli Amici di Lozzo hanno voluto leggere per ricordarlo. In essa c’è quel che serve e quanto basta a chi l’ha conosciuto ma anche per chi, leggendola, apprende che quest’uomo ha camminato fra noi.

Che cosa ci resta …

Ho affermato più volte, quasi come un mantra, che : « La fotografia è la vestale della memoria…» a ribadire la mia totale condivisione con quanto Roland Barthés scrive che il nome del noema della fotografia è ciò che è stato ( La camera chiara). Le fotografie forniscono la testimonianza di una presenza in un contesto e in un momento che può anche esserci noto o ignoto (poco conta). Risultano quindi utili per far memoria anche di semplici situazioni come di banali frangenti, comportandosi in modo analogo alle pagine di un vecchio diario ma con la ricchezza dell’immagine, risparmiandole dalla polvere del tempo. A me colpisce molto la fotografia di Ambrogio (scattata nella processione di S Antonio del gennaio 2009 sotto una forte nevicata) in cui stringe la mano al bambino fermo sul ciglio della strada, icona di un ideale passaggio di testimone generazionale e che trovo si abbini perfettamente con quella in cui egli osserva l’innaffiamento della quercia appena messa a dimora (2013) nella piazza del paese, in sostituzione del vecchio abete disseccatosi. Come se una vita al tramonto, ma ancora sorridente, comunichi che il primo dovere di ogni uomo è seminare bene, perché qualcosa di nuovo e di bello prosegua sul cammino che si srotola lungo il comune sentiero di queste montagne che sono il nostro esistere. Salvatore Benvenga cfr anche art. su Luino Notizie
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C'è una parola che appare usata sempre di meno e che rischia di scomparire dal vocabolario. Questa parola è "riconoscenza". Deriva da "ri-conoscere", ovvero rendersi conto, accorgersi, essere consapevole e quindi, estensivamente, avere coscienza dei benefici ricevuti e conservarne la memoria con gratitudine impegnandosi a contraccambiare. Se c'è una parola fortemente ancorata a questo triste momento è proprio questa. Lo è per molte ragioni. Credo che ognuno debba riconoscenza, in misura più o meno estesa, ad Ambrogio che oggi qui salutiamo per l'ultima volta. Non solo perché probabilmente non c'è persona in questa comunità che non abbia sperimentato la sua disponibilità, ricevuto i suoi servigi o il suo lavoro, avuto il suo saluto cordiale. Tuttavia è l'intera valle che deve essere a lui riconoscente per essere stato un purissimo esempio di saldo attaccamento alle proprie radici, di essersi sempre speso per mantenere vive le tradizioni, sempre anteponendo a se stesso l'amore per il borgo natio al punto da contagiare quanti, pur venendo da posti lontani e diversi, hanno finito con legarsi affettivamente a questi luoghi. Ma non si deve solo ricordare quanto egli sia stato un uomo buono, mite e onesto. Non serve elencare i suoi pregi quali la rettitudine, la lealtà, la generosità d'animo. Si finirebbe solamente col dire cose che ognuno di noi sa già perfettamente, in un esercizio di retorica che non apparteneva ad Ambrogio. Lui era un uomo schivo, concreto, di poche semplice parole, sempre proferite con sincerità e mai urlate. E' stato un privilegio averlo conosciuto ed aver camminato per una parte della nostra vita insieme a lui. Visibilmente Ambrogio non c'è più, queste strade non risuoneranno del suo caratteristico passo, non si udirà più la sua voce pacata, né lo si vedrà più in testa alle processioni del paese. Ma se crediamo davvero che lo spirito non muore mai, se crediamo davvero che le anime dei giusti non ci abbandonano mai, egli sarà sempre qui. Ambrogio per noi era come una pietra di queste montagne, un sasso solido come quello che lui sapeva mettere come testata d'angolo nelle molte case che ha rimesso in piedi. Io credo che Lozzo abbia un particolare privilegio: quello di avere il cimitero che domina la piazza nella quale la gente si incontra, in un paradossale ma straordinario contrasto tra il silenzio eterno e il flusso della vita che scorre. Qui Ambrogio riposerà come una vedetta silenziosa, un soldato di sentinella al proprio accampamento. Chiunque lo vorrà, potrà facilmente salire quei pochi gradini per salutarlo con una muta preghiera. Ad Ambrogio piacevano i canti, le prove del coro alle quali non mancava mai, gli piacevano le feste e stare tra la gente. Amava conversare a tavola con gli amici, adorava le torte fatte in casa. Sprizzava felicità dagli occhi quando ci vedeva qui nella sua Lozzo, nel paesino natio che mai avrebbe abbandonato. Uomo profondamente devoto, amava la sua Chiesa, che apriva ogni mattina e richiudeva ogni sera, il suo campanile, e, rispettoso com'era delle tradizioni, le sacre raffigurazioni dell'Assunta e di S. Antonio che qui volgono benignamente lo sguardo su di lui. Amava ogni piega di questa montagna che lo aveva visto bambino e su cui ha attraversato la parabola della sua vita. Ha ricoperto anche l'incarico di Assessore per il vecchio comune, svolgendolo sempre con la passione e totale onestà di pensiero e di comportamento che gli erano propri. Ha amato la sua Associazione, quella degli Amici di Lozzo di cui è stato per vent'anni Presidente e che ha sempre concepito come uno strumento per mantenere vivo Lozzo e integrare sempre più residenti e villeggianti in un unica grande comunità. Essergli riconoscente - credo - comporta l'impegno a contraccambiare quanto abbiamo da lui ricevuto in parole, opere e soprattutto esempi: continuare a mantenere vive nel suo ricordo le tradizioni a cui lui teneva molto, spendersi per preservare la bellezza e la semplicità del suo paese, che è diventato in vari modi anche il nostro paese. Solo così è possibile onorarne concretamente la memoria dimostrandosi sinceramente riconoscenti. Ambrogio, simbolo di un mondo che va scomparendo, non avrebbe voluto altro. E' difficile sottrarsi all'emozione che ci attanaglia, allo sgomento che non si scioglie davanti ad un fatto naturale come la morte che coglie un uomo comunque avanti nell'età e con problemi di salute. E' stato chiamato al cielo con un veloce frullo d'ali che lo ha serenamente cullato in un sonno senza risveglio, alla vigilia del suo onomastico. Quasi un sussurro di un angelo che, sciolti i lacci, lo ha preso per mano e consegnato all'eternità delle anime. Anche Gesù ha pianto per la morte di Lazzaro, un amico che amava. Non bisogna quindi vergognarsi della propria sensibilità e della fatica che si fa a leggere queste righe. Riconoscenza: strana parola, che impegna moralmente, che tiene desta la coscienza, che obbliga a pensare come potersi sdebitare. Ancora più forte se connessa ad un grande amico, ad una persona che ha mai chiesto nulla per sé ma ha sempre dato con passione e senza ritorni. Ecco Ambrogio, credo che nessuno, oggi, dopo averti portato l'ultimo affettuoso saluto, cercherà di deluderti. Ci sforzeremo tutti di non lasciare cadere il testimone che ci hai lasciato e che racchiude la cosa a te più cara: l'amore per il tuo paese e per questa valle nascosta agli occhi di coloro non sanno quali tesori essa possa racchiudere. Ho pensato che anche tu voglia esprimere ad una persona qui presente la tua personale riconoscenza per essersi spesa senza riserve nell'assisterti con un affetto che definire filiale è perfino riduttivo. Quando intorno regnava il silenzio, la sua presenza ti arrecava conforto. Ho immaginato che mi hai chiesto di prestarti la mia voce per testimoniarle pubblicamente la tua gratitudine che è anche la nostra gratitudine perché, insieme a lei, tutti noi ti abbiamo voluto davvero bene. Là dove ora ti trovi, insieme ai tuoi cari che ti hanno accolto con dolcezza, in quella pace fatta di luce e armonia dove le anime degli uomini buoni trovano casa, so che continuerai ad essere a tutti vicino. Ciao Ambrogio... non addio, ma ancora ciao. Non è possibile dirti addio. La vera morte non è quella che distrugge il corpo, ma quella che annienta la memoria. E invece tu continuerai ad avere sempre un posto speciale nelle feste del paese. Ma non sarà la solita sedia quella che ti sarà riservata, bensì uno spazio nel nostro cuore e nei nostri ricordi. Riconoscenza... strana parola... proferita oggi. Deposta qui come un semplice fiore, come gesto di un umile commiato. Non ho trovato altro in questo triste saluto per racchiudere in poche parole decenni di sincera amicizia e ringraziarti di quanto mi hai insegnato. Accettala come un'umile gesto di rispetto per quanto hai rappresentato e misurala su quanto noi sapremo fare per dartene sincera e concreta testimonianza negli anni che verranno e che Dio vorrà benignamente donarci. Ancora ciao, carissimo Ambrogio, amico di tutti, con l'ultimo grande, affettuoso abbraccio dai tuoi amici.